domenica 2 ottobre 2016

[Normativa] TPD: Il divieto di vendite transfrontaliere

ATTENZIONE
Questo articolo non è aggiornato.
La Legge di Bilancio 2018, in vigore dal 1/1/2018, modifica profondamente diversi punti della normativa sulla sigaretta elettronica, per cui parte dell'articolo che segue non è più valido.
Seguiranno ulteriori articoli di approfondimento aggiornati alla nuova normativa.



Alcune volte, leggendo e rileggendo il testo di una legge, si capiscono nuove cose, sia sulla materia trattata, sia su chi ha scritto quella legge. Non è infrequente infatti che una legge sia scritta male, e questo problema sembra presentarsi con frequenza preoccupante quando la materia è la sigaretta elettronica.
In questo articolo, vi invito a puntare lo sguardo solo su una parte piccolissima della normativa sull'ecig, il divieto di vendite transfrontaliere: un argomento interessante non solo perché colpisce i nostri acquisti online, a cui siamo tanto affezionati 😊 ma anche perché analizzando attentamente la norma si raggiungono vette di surrealismo legislativo raramente raggiunte dai nostri legislatori.

Non temete, non sarò tecnico: questo articolo è fatto per sorridere (anche se un po' amaramente), non è una tesi di laurea 😊 Per comodità di lettura, ecco un "indice" di questo articolo:
  1. Che cosa vorrebbe dire la Legge 
  2. Che cosa dice effettivamente la Legge
  3. Che cosa dice veramente la Legge
Ma prima di tutto, leggiamo la norma in questione, in tutto il suo splendore... 😊

Decreto Legislativo n. 6 del 12.01.2016 (Recepimento T.P.D.)

Articolo 21 ("Sigarette Elettroniche") - Comma 11
"E' vietata la vendita a distanza transfrontaliera di sigarette elettroniche e di contenitori
di liquido di ricarica ai consumatori che acquistano nel territorio dello Stato."




Che cosa vorrebbe dire la Legge

L'intento del Legislatore è chiaro, ed è stato ribadito in numerose sedi: con questa legge si intende impedire ai consumatori (vapers) italiani di acquistare online da siti esteri, i quali notoriamente non applicano l'imposta di consumo sui liquidi; se le aziende estere vogliono vendere a consumatori italiani, devono prima nominare un rappresentante fiscale in  Italia, e quindi pagare l'imposta di consumo come le aziende italiane.
Ma purtroppo per il Legislatore italiano, il principio di libera circolazione delle merci impedisce di emanare una legge che vieta ai consumatori italiani di comprare all'estero; tra l'altro una siffatta Legge verrebbe violata continuamente, essendo virtualmente impossibile stabilire un valido sistema di repressione nei confronti dei privati.
Allora, per ottenere lo scopo desiderato, il Legislatore ha previsto l'oscuramento dei siti esteri (art. 21, comma 12) e pesanti sanzioni a carico degli operatori professionali (art. 25, comma 3): da € 30.000 ad € 150.000 se il trasgressore è un produttore o un importatore; da € 500 ad € 5.000 se la violazione è commessa da un distributore o rivenditore.
Su questi argomenti (imposta di consumo, oscuramento dei siti, divieto di vendita) mi verrebbero da dire tantissime cose, ma non ne dirò nessuna 😁 perché dobbiamo rimanere concentrati sull'art. 21.



Che cosa dice effettivamente la Legge

La Legge, come abbiamo visto, non vieta ai consumatori l'acquisto online: vieta piuttosto ai venditori di effettuare vendite online (transfrontaliere).
Questo passaggio spesso sfugge: "Se è vietata la vendita, sarà ben vietato anche l'acquisto, giusto?!" No, sbagliato. Un comportamento è vietato solo se la Legge lo vieta esplicitamente, non si può "estendere implicitamente" un divieto ad attività diverse. D'altronde, come potrebbe mai un consumatore finale accertarsi, prima dell'acquisto, che il venditore sia in regola con gli adempimenti burocratici, abbia nominato un rappresentante fiscale e versi regolarmente l'imposta di consumo?
Quindi, il Legislatore, volendo comunque impedire ai consumatori di comprare, lo fa... vietando ai venditori di vendere

Ma chi sono questi venditori? Secondo l'art. 21, sono tutti quei soggetti che effettuano vendite transfrontaliere "ai consumatori che acquistano nel territorio dello Stato", ovvero i consumatori italiani. Quindi si tratta ovviamente degli shop esteri.
"Bella scoperta!", direte voi 😁 Ma fermiamoci un attimo: abbiamo qui una legge italiana che pone un divieto a carico delle aziende estere, e per di più impone anche pesanti sanzioni! Non bisogna essere un raffinato giurista per comprendere che le aziende estere si fanno un baffo della legge italiana, e che l'ipotesi di riscuotere una sanzione da un'azienda estera è puro fanta-diritto.
Praticamente, per come è scritto l'art. 21, il divieto di vendita transfrontaliera è di fatto inapplicabile e non operativo: se uno shop europeo vuole vendere ai consumatori italiani (e la Legge del suo paese non glielo vieta) può legittimamente farlo, senza temere fantomatiche sanzioni e soprattutto senza violare alcuna legge.

Ora, sulla previsione di sanzioni a carico di soggetti esteri, anche sforzandomi, proprio non riesco a trovare altra spiegazione della totale ignoranza (= non conoscenza) dei rudimenti del diritto internazionale da parte di chi ha scritto quell'articolo.
Invece, sulla presenza del divieto di vendite transfrontaliere, pur con la sua apparente assurdità, posso dire che quanto meno è utile per fornire un assist agli altri paesi europei: è una dichiarazione con cui l'Italia chiarisce di voler vietare le vendite transfrontaliere, e chiede implicitamente agli altri paesi (ai sensi della TPD) di inserire nel loro ordinamento un divieto di vendita all'Italia. Va da sé che finché un paese estero non recepisce nel proprio ordinamento un divieto di vendita all'Italia (e alcuni paesi lo hanno fatto), le aziende di quel paese possono legittimamente continuare a vendere online a noi consumatori italiani, con buona pace dell'art. 21.
In ogni caso, il comma 11 dell'art. 21 è un necessario supporto per l'oscuramento dei siti esteri (comma 12) , quindi diciamo che ha comunque una ragion d'essere.



Che cosa dice veramente la Legge

Chiediamoci questo: se un consumatore italiano effettua un acquisto online su uno shop polacco, la vendita si intende effettuata in Italia o in Polonia?
Vi offro un aiutino: quando vi arriva il pacchetto, dentro, oltre alla caramellina 😁, c'è uno scontrino che riporta il prezzo con l'IVA polacca al 23%, non quella italiana al 22%.
Infatti, in base alla normativa IVA (che un'imposta armonizzata, quindi concordata tra tutti i paesi), se l'acquirente è un consumatore finale, la vendita transfrontaliera si intende effettuata nel paese del venditore.

E adesso che abbiamo questo nuovo elemento, andiamo a rileggere il nostro art. 21, che vieta le vendite transfrontaliere "ai consumatori che acquistano nel territorio dello Stato".
Poiché "lo Stato" è ovviamente l'Italia, quali sono gli acquisti che si intendono effettuati su territorio italiano? Sono gli acquisti effettuati da consumatori esteri sugli shop online italiani!
In altre parole, una legge scritta appositamente per vietare ai consumatori italiani di comprare all'estero, allo scopo di tutelare le aziende (e soprattutto le Finanze) italiane, alla fine a ben vedere vieta alle aziende italiane di vendere all'estero. E siccome i soggetti destinatari della norma sono le aziende italiane, non solo il divieto di vendita è effettivo e operativo, ma in più le pesanti sanzioni stabilite dall'art. 25 si applicano, eccome!

Ora, se qualcuno è saltato sulla sedia leggendo queste cose, può stare tranquillo (più o meno): questa è solo un'interpretazione personale della norma; e per di più è un'interpretazione assolutamente non condivisa che va contro l'interpretazione maggioritaria e contro l'interpretazione anche di coloro che, questa legge, l'hanno scritta. Ciò non di meno, è un'interpretazione rigorosa e plausibile, e nulla può escludere che un domani a qualcuno venga la bella idea di fare un po' di soldi sfilando 150.000 euro ad ogni produttore ed importatore italiano, e 5.000 euro ad ogni distributore e rivenditore (da moltiplicarsi per il numero di violazioni effettuate dal 1° gennaio 2016).

9 commenti:

  1. Hi...hi... salve,
    bravo Numeror, ho letto, ho letto,
    sì, ben scritto, ma che Bordello.
    Proprio da mettersi le mani nei capelli.
    Grazie, Compli e ciao
    Prof. Pinocchio

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  2. Mmmmm... ti dico "ni".
    Il tuo ragionamento non fa una piega a livello logico e sapendo con "chi abbiamo a che fare" e' lecito aspettarsi di tutto e di più.

    Ad ogni modo verrà istituito un database europeo in cui tutti i venditori sapranno a quali paesi potranno vendere ed a quali no (chi ha implementato l'inibizione delle vendite transfrontaliere e chi no) e dovranno attenersi scrupolosamente a tali indicazioni.
    Quindi, una volta inseriti in questo database, gli shop esteri non potranno far finta di niente continuando a vendere a noi poveri italiani i loro prodotti.
    Da quando sarà operativo? E chi lo sa!

    L'intenzione, infine, non e' quella di tutelare le aziende italiane (se ne sbattono abbondantemente) quanto l'incasso della tassazione sulla nicotina che e' dietro l'angolo (e, conoscendoli, probabilmente arriverà anche quella sui prodotti destinati ad inalazione privi di nicotina).

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    1. Di sicuro, finché questa norma non sarà operativa, non potremo avere certezze. Però il comma 12 di questo stesso articolo dice piuttosto chiaramente (e questo è stato confermato anche dagli addetti ai lavori) che il divieto di vendita transfrontaliera sarà attuato mediante oscuramento dei siti esteri, ottenuto mediante "dirottamento" delle connessioni indirizzate a quelle pagine. Tale "dirottamento" sarà effettuato dai provider italiani (e solo italiani) che forniscono servizi internet mediante blocco di alcuni indirizzi web a livello di DNS: in estrema sintesi, quando il nostro computer cerca quel particolare sito estero, il provider italiano risponde che non è raggiungibile (mentendo, perché il sito invece è tecnicamente raggiungibile).
      In nessuna parte della norma, né sentendo i commenti in giro, ho mai rilevato la possibilità che venga creata una banca dati internazionale (una sorta di "lista nera") che sia vincolante per tutte le aziende europee. Se puoi darmi qualche informazione sulle tue fonti, sono ovviamente interessato :)

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    2. Cio' che scrivi riguardo a quanto posto in essere al comma 12 per impedire le vendite transfrontaliere e' assolutamente corretto ma assolutamente fuori di testa.
      Infatti io posso e potrò, a rigor di legge, acquistare da uno shop estero basi a 0, PG, VG, liquidi a 0, aromi, mesh, cotone, filo resistivo, batterie, box, tubi, ecc.... tutti prodotti presenti negli shop che vendono ANCHE prodotti non più vendibili a noi italiani (causa idiozia galoppante del nostro governo). Quindi oscurare questi siti utilizzando, ad esempio, i DNS (cosa per altro aggirabile in meno di due nano secondi) e' illegale dato che viola il principio di libera circolazione (e acquisto) delle merci in UE non essendo vietata, per legge, la vendita transfrontaliera di questi prodotti.
      Ho scambiato pareri, opinioni, preoccupazioni e frustrazioni con due shop da cui mi fornisco di liquidi, uno tedesco e uno inglese, ed entrambi mi hanno parlato di questo database da loro consultabile in cui verranno inseriti tutti i paesi che hanno implementato il divieto di vendita transfrontaliero. In entrambe i casi pero' questo database e' attivo ma non aggiornato (per fortuna aggiungo io).

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  3. Le “sigarette elettroniche” sono quelle già precaricate di liquido con nicotina e quelle contenenti cartucce con nicotina, non i dispositivi e gli accessori.
    questo dice il ministro, quindi non sono vendibili cartucce o e-cig già conteneti liquidi con nicotina per altro

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  4. La definizione di "sigaretta elettronica" presente nelle varie norme è purtroppo meno... limpida di quello che dici (e io credo sia intenzionale). Tu probabilmente ti riferisci al recente chiarimento dell'Istituto Superiore di Sanità secondo cui il limite dei 2 millilitri si applica solo alle cartucce e le e-cig già contenenti liquido con nicotina.
    Ma in linea generale, la definizione di "sigaretta elettronica" è più ampia; secondo il Decreto 6/2016 (recepimento TPD), per "sigaretta elettronica" si intende: "un prodotto utilizzabile per il consumo di vapore contenente nicotina tramite un bocchino o qualsiasi componente di tale prodotto, compresi una cartuccia, un serbatoio e il dispositivo privo di cartuccia o di serbatoio. Le sigarette elettroniche possono essere usa e getta o ricaricabili mediante un contenitore di ricarica o un serbatoio oppure ricaricabili con cartucce monouso".
    Il divieto di vendita transfrontaliero (che a tutt'oggi è ancora una chimera) si applica a tutto ciò che è incluso nell'ampia definizione di "sigaretta elettronica" sopra indicato, inclusi atomizzatori vuoti e altri componenti delle e-cig (non agli accessori o alle batterie, ovviamente).

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  5. Roberto Grasso 6 dicembre 2017
    Quindi anche un apparecchio per aerosol dotato di cartuccia (un vaporizzatore può venire utilizzato per inalazioni balsamiche o no?)

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    1. La filosofia della TPD è la seguente: se un dispositivo, tra i tanti usi possibili, è utilizzabile ANCHE per inalare liquidi con nicotina, allora è una "sigaretta elettronica". Il fatto che un dispositivo abbia molteplici usi non lo esenta dalla TPD; al contrario, ci sarebbe il rischio di sottoporre a TPD anche i veri inalatori balsamici, se non fossero tutti "dispositivi medici" e quindi fuori dalla TPD per definizione.

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